L’arte infame della censura

di danieleluttazzi

FQ Millennium, il mensile del Fatto quotidiano, nel numero di settembre dedicato alla censura ha pubblicato una mia disamina del fenomeno. Ecco il testo.

L’arte infame della censura

di Daniele Luttazzi

La satira vera, ricordava Dario Fo, si vede dalla reazione che suscita. Da noi, se la fai in tv vieni sottoposto a un protocollo disciplinare che prevede sei sanzioni progressive: denigrazione, censura, vessazione, lite temeraria, character assassination e damnatio memoriae. C’è anche chi partecipa ai linciaggi semplicemente perché è un pezzo di merda e si diverte così.

Denigrazioni

Appena cominci a dire la tua in modo divertente, informato e persuasivo in un programma tv, politici, giornalisti di parte, e stronzi semplici a cui stai sui coglioni cominciano a denigrarti: non fai ridere, sei volgare, sei fazioso. L’accusa che non fai ridere è la più ridicola: basta il dvd di un tuo spettacolo, dove fai ridere una platea di duemila persone per due ore e mezzo, a smentirla. E comunque la risata non è un criterio: le battute satiriche non fanno ridere i propri bersagli. L’accusa che sei fazioso, invece, è da ignoranti: la satira nasce faziosa, perché esprime un giudizio: è inevitabilmente politica. Gente che leccava il  culo a Berlusconi da 20 anni dava a me del fazioso! Quanto alla volgarità, anche di Boccaccio e Lenny Bruce i parrucconi dicevano che erano volgari; ma la volgarità è la tecnica della satira: scandalizzarsi delle parole, e non delle nequizie che denunciano, dimostra una scala di valori corrotta. Non ho mai visto un monologo satirico molestare bambini in sacrestia o bombardare popolazioni civili per prendersi il loro petrolio. E l’art. 33 della Costituzione sancisce la libertà dell’arte. L’accusa che insulti è il pretesto con cui chiusero Decameron, ma la satira non offende le persone: solo i loro pregiudizi. Si inventano fatti mai accaduti: nel 2004, l’ANSA scrive che in una scena dei miei Dialoghi platonici “Andreotti denuda e sodomizza il cadavere di Moro. Uno spettacolo choc” che però non c’è stato. Il Giornale, Libero e il Messaggero mi attaccano lo stesso, e Mauro Mazza, direttore del Tg2 in quota AN, lo fa nell’edizione delle 13 e 30. Le polemiche si spengono quando mostro il video della serata, ma nessuno rettifica. Nel 2011 Mario Giordano, sul Giornale, afferma che Satyricon faceva parte di un piano anti-berlusconiano concordato, in vista delle elezioni, dal presidente Rai Zaccaria durante una fantomatica riunione a casa sua. Lo aveva scritto Vespa nel 2002: Zaccaria lo querelò e vinse la causa. Su La7, il giornalista di Libero Francesco Specchia sentenzia incontrastato che Decameron fu chiuso perché non faceva ascolti. Neppure il dirigente tv che cassò il programma usò questo argomento falso. Freccero supera tutti due anni fa: “Niente programma di Luttazzi su Rai Due perché chiede 100 mila euro a puntata”. Una balla (cfr. bit.ly/3iSMspU), ma i giornaloni la pubblicano e, con le altre, è ancora in Rete. Il web come lettera scarlatta 2.0. Arrivano a sostenere che la censura è un vantaggio perché dà popolarità. Secondo i bastardi, cioè, dovresti ringraziare il sopruso. A parte che la censura è un danno economico notevole (Mike Bongiorno: “Daniele, così ti sei rovinato.”), il sillogismo corretto è questo: la gente prova simpatia per la tua satira, a causa della quale subisci il sopruso. Altri, e sono i tirapiedi peggiori, ciurlano nel manico. Vieni censurato, e loro ti scherniscono dicendo di non fare la vittima. A causa della censura lavori sempre meno in teatro? Scrivono che “neanche i teatri lo vogliono più”. Non sei più in tv causa censura? Sei “un fallito”. Chiudono Decameron, e Michele Serra scrive su Repubblica che quando un comico viene censurato, metà della colpa è anche sua (il vecchio argomento della minigonna che causa lo stupro). A Raiperunanotte cito Quintiliano: “Odiare i mascalzoni è cosa nobile.” Il giorno dopo, il pezzo di Grasso sul Corriere s’intitola: “Luttazzi incita all’odio”. Replichi nel merito? “Si prende troppo sul serio”. Pigi Battista mi dà del manganellatore mediatico (ma qui credo c’entri l’Edipo, visto che suo padre era un volontario della RSI e un dirigente del MSI), e poi accetta di prendere su Rai 1 il posto di Enzo Biagi defenestrato dopo l’editto bulgaro. C’è pure chi proclama “Luttazzi è come Berlusconi”. Un blog ha compilato la lista completa dei compagni di merenda: bit.ly/2VJn7VX.  

   Da qualche anno, infine, i giornaloni sono impegnati a stigmatizzare l’antiberlusconismo e i suoi protagonisti. Un modo è intervistare comici, giovani e no, concordi nell’affermare che fare satira contro Berlusconi era facile; che quella satira non faceva ridere; che ce n’era troppa, tanto da rendere Berlusconi simpatico; e che le televisioni non censurano, ma fanno legittime “scelte editoriali” (la censura non è una mera scelta editoriale, ma la ridefinizione serve a quei comici per giustificare la conveniente autocensura). Purtroppo per loro, io sono la dimostrazione vivente che si tratta di menzogne spudorate. Coloro che le propalano, guarda caso, lavorano senza ostacoli in Rai da anni (pure da Vespa: ben gli sta).  

Censure

Ha gioco facile chi sostiene che in Italia non c’è la censura: in apparenza, chiunque può dire e fare ciò che vuole. Ma non in tv, che ha ancora l’impatto maggiore, dove puoi dire e fare ciò che vuoi finché te lo permettono i clan al potere (di destra, di sinistra, di centro, massonici, cattolici, confindustriali &c.), che spesso fanno accordi sottobanco, sicché la coltellata ti può arrivare alle spalle. 1989: a “Fate il vostro gioco” (Rai Due) cassano all’istante, durante la prova generale, il monologo sulla notizia del giorno, un caso di pedofilia: “Mio padre è uno stronzo. L’altro giorno l’ho sorpreso al telefono. Stava contrattando l’affitto di una bambina messicana, per i suoi piaceri particolari. E si esprimeva in questi termini: ‘Cosa posso farle a quell’animaletto? Posso farle la pipì nell’orecchio? Posso infilzarle gli spilloni nella carne viva? Posso iscriverla al Partito socialista?'” Nella Rai Due craxiana. Tempo un minuto e il regista mi porta il necrologio: “A Roma hanno visto il monologo in bassa frequenza. Per questa puntata non fai nulla. Le prossime vediamo.” Mi pagano per tredici puntate, come da contratto, ma per fare tappezzeria. L’anno dopo, nel varietà di Telemontecarlo “Banane”, registro gli sketch “Marzullo intervista Hitler” e  “Marzullo intervista Gesù”: il produttore, Sandro Parenzo, taglia tutto. 1998, Barracuda (Italia 1, direttore Giorgio Gori): nella prima puntata intervisto Claudio Martelli. Senza dirmelo, Fatma Ruffini, direttrice dei programmi RTI, toglie al montaggio la risposta di Martelli: “Berlusconi non è un politico, è un piazzista.” La penale miliardaria prevista dal contratto mi impedisce di andarmene subito come vorrei. Nel 2001 passo alla Rai, e a Satyricon invito ospiti come Marco Pannella, che attacca la Chiesa per le sue posizioni oltranziste su droga, aborto e anticoncezionali; e Marco Travaglio, che parla delle origini misteriose della fortuna di Berlusconi. Succede il finimondo, e nel 2002, durante una visita di Stato in Bulgaria, Silvio pronuncia il famigerato “editto bulgaro”. Mi estromettono dai palinsesti Rai (a Rai Tre i comici lavorano anche durante il regno birbonico, ma solo se pidini). Nonostante il grande successo di Satyricon (o meglio: “a causa” del suo successo), non posso tornare in Rai da 20 anni (“Normale turn over“, lo definì Vincino, che infatti faceva vignette sul Foglio). 2004: Baudo mi invita a parlare di censura in un suo programma, e poi taglia via le battute politiche più caustiche, sviando con una menzogna (“Luttazzi era presente al montaggio”) i giornalisti che gli chiedono informazioni. Nel 2007, a La7, Campo Dall’Orto chiude arbitrariamente Decameron col pretesto di una battuta su Giuliano Ferrara: in questo modo non va in onda la puntata successiva, già registrata e montata, che si apre con un monologo satirico sulla Spe Salvi di Ratzinger e sulle ingerenze della Chiesa nella vita civile. Baldini, del Cdr di La7, aggiunge: “Ogni volta che La7 fa un programma di successo, e Decameron,  con punte di 2,7 milioni di spettatori, lo è, viene stoppato. Per la pubblicità le aziende, anche Rai e Mediaset, si contendono pure lo 0,1% di ascolti. E se un programma scompagina gli ascolti è meglio chiuderlo.” Nel 2009, il Times mi intervista sulle mie vicende tv. Domande scritte e risposte scritte. Dico, fra l’altro: “Tre anni fa, Sky Italia chiese di incontrarmi. Proposi un Tg satirico. Mi chiesero come avrei reagito se avessero tagliato al montaggio qualche battuta. Gli risposi che il contratto glielo avrebbe impedito. Sono spariti.” Il Times pubblica l’intervista togliendo quel paragrafo: Sky è di Murdoch, come il Times. 2016: GQ Italia, mensile della Condé Nast, mi chiede un articolo per il numero 200 in quanto firma storica (i primi tre anni scrivevo la rubrica di apertura). Il direttore Emanuele Farneti legge il pezzo (una parodia satirica del sommario di GQ) e mi propone entusiasta una collaborazione annuale. Due settimane dopo, salta tutto: ai piani alti, mi spiega, temono ripercussioni dagli sponsor. 2019: il neo-sovranista Freccero annuncia che non mi farà fare il nuovo programma, che aveva tanto annunciato, anche perché faccio satira sulla religione: nessuno obietta. Abbiamo pure la censura preventiva: lo iettatorio Huffington Post titola, alla notizia di quel mio rientro, “Perché oggi Luttazzi farebbe flop tornando in tv”. Fammi provare, almeno.

Vessazioni

Dopo Satyricon, ricevo minacce di morte e sono costretto a girare in tour con una guardia del corpo. Il telefono di casa viene controllato per mesi, non so da chi. Il Giornale pubblica la mia dichiarazione dei redditi con in primo piano il mio indirizzo. Subisco due furti misteriosi: nel primo, la casa viene messa a soqquadro e sparisce solo il mio computer. Nel secondo, prendono tutto il resto (è quasi un trasloco), e sul tavolo all’ingresso pongono un’incongrua boccetta di profumo Denim (“Per l’uomo che non deve chiedere mai”). Fiumicino, dove abitavo, viene tappezzata da manifesti di un gruppo neo-fascista in cui campeggia a caratteri cubitali il monito “Luttazzi taci!”. Dal 2001 al 2009 faccio tournée teatrali incontrando difficoltà crescenti: amministrazioni e politici di destra, in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Puglia e Sardegna, esercitano pressioni sugli organizzatori, anche attraverso gli sponsor (banche, enti, &c.), per non ospitare i miei spettacoli, e a volte ci riescono. In ogni località, i consiglieri comunali di destra montano polemiche, pre e post spettacolo: a Latina, alla fine di una serata la polizia mi scorta per prudenza fino al confine comunale. Non mancano le intimidazioni vigliacche: un giorno arrivo a Lecce, e tutta la città è addobbata da annunci funebri con sopra il mio nome. La censura a me, fra l’altro, intimidisce gli altri comici: chi vuole lavorare in tv, in teatro, o fare cinema, preferisce stare alla larga dalla satira. I più furbacchioni, oggi, teorizzano la satira disimpegnata, e i giornaloni applaudono, come se la paraculaggine fosse una virtù.

Liti temerarie

Berlusconi, Mediaset, Fininvest e Forza Italia mi fanno causa per diffamazione, chiedendo una quarantina di miliardi di risarcimento: resto impegnato nei tribunali per 16 anni, ma vinco tutti i processi, poiché la mia intervista a Travaglio non diffamava nessuno, e la mia satira era a norma di legge. Il gruppo Cremonini mi fa causa per 120 miliardi: vinco anche quella. Dovrebbe essere la dimostrazione che faccio satira con criterio; e invece adesso  le tv mi propongono sempre contratti con cui pretendono il controllo totale sui contenuti. Siccome controllare la satira è una forma di censura, offro una soluzione che salvaguardi il loro diritto di decidere cosa trasmettere, e il mio diritto di fare la satira che voglio: consegnerò la registrazione della puntata il giorno prima della messa in onda, la tv potrà decidere quali pezzi tagliare, e al loro posto metterò un riquadro nero con la scritta “materiale satirico giudicato non idoneo alla messa in onda”. Non accetta mai nessuno. Così, i prepotenti che mi fecero cause pretestuose per tapparmi la bocca e danneggiarmi economicamente, psicologicamente, e professionalmente, in pratica hanno vinto. Contro le querele vessatorie propongo da Enzo Biagi, nel 2007, il “comma Luttazzi”: se uno ti fa causa per miliardi e perde la causa, quei miliardi li deve dare lui a te. Mi fa piacere che da allora giornalisti e politici abbiano fatto propria questa battaglia: purché ci si arrivi. Ogni volta mille ostacoli all’iter, e poi il nulla.  

Character assassination

Se il satirico non demorde, mietendo consensi, si cerca di distruggerne la reputazione con campagne diffamatorie, tipo “Luttazzi plagia” e “Luttazzi è un evasore fiscale”. Tutte balle (cfr. bit.ly/3yQMmEQbit.ly/3ySsCk2), ma fanno presa sugli sprovveduti, che purtroppo sono la maggioranza; e non puoi fare causa a chi amplifica denunce anonime (“la Rete dice che”) o processi in corso. Un altro modo è descriverti come un opportunista: Davide Parenti, il capo delle Iene, disse che la mia intervista a Travaglio fu un accidente nel quale incappai per caso, “anche se poi Luttazzi ha capito che tanto valeva cavalcarla e fare l’eroe civile. E’ così attaccato ai soldi che se avesse capito che ci rimetteva anche solo centomila lire…” (sarei pure tirchio, dunque, a differenza di Parenti, l’autore di sinistra che da anni macina milioni nelle tv di Berlusconi perché non è opportunista, e ogni giorno regala banconote da 100 ai passanti); Repubblica, dopo l’intervista censurata da Baudo, sostenne a tutta pagina, con una paternale firmata da Sebastiano Messina e Leandro Palestini, che mi ero autocensurato perché volevo tornare in Rai a tutti i costi.  

Damnatio memoriae

I media escludono il convitato di pietra dal discorso pubblico, che è la loro camera degli echi. Per un anno, Repubblica scrive dell’editto bulgaro contro Biagi, Santoro e… Fazio! Smettono quando interviene Antonio Ricci a sottolineare la belinata. Da allora scrivono dell’editto contro Biagi e Santoro. Stop. Un’amnesia giornalistica così frequente che sul mio blog la definisco “bulgarite” nella rubrica dedicata alle sue occorrenze. E non danno mai notizia dei successi: che a un certo punto gli ascolti di Satyricon sono stellari e costantemente sopra quelli di Vespa e Costanzo; che lo share del programma di Baudo, durante il mio intervento, balza dall’8% al 21%; che Decameron, venduto ai pubblicitari per uno share stimato del 2,5%, ha punte del 9%, in uno slot dove La7 fa di solito lo 0,8%; che la mia intervista da Enzo Biagi tocca il picco degli ascolti di quell’edizione, superando il 20% di share; che il mio monologo a Raiperunanotte raddoppia, durante i suoi 15 minuti, gli ascolti del programma, facendo inoltre raggiungere all’hashtag #raiperunanotte i 5700 tweet/h, un record assoluto per l’Italia secondo il ricercatore della LUISS Luca Alagna; che il giorno dopo, su YouTube, il video di quel monologo totalizza di botto 800mila visualizzazioni. Due pesi e due misure: quando Corrado Guzzanti, col video di Aniene, tocca le 600 mila visualizzazioni in una settimana, Repubblica dedica all’evento due pagine a colori (meritatissime). Dulcis in fundo: nei filmati di La7 realizzati per commemorare il ventennale dell’emittente, quest’anno, non c’era alcun estratto di Decameron

Danni della censura

L’Italia è l’unica nazione occidentale, oggi, in cui la satira libera in tv rappresenti un problema. La censura tv proibisce a te di esprimere le tue idee, e al grosso pubblico di ascoltarle. Fare tv non è un hobby, è un lavoro, e se non te lo fanno fare per motivi ideologici è maccartismo, un illecito che in Italia sarebbe vietato dall’art. 8 dello Statuto dei lavoratori. Alla lunga, il confino mediatico ti toglie popolarità, e dunque il resto (teatri, film, pubblicità, libri, dvd); riduce la risonanza di qualunque attività intraprendi. Ma se accetti un controllo sulla tua satira, accetti una censura sulle tue opinioni: mantenendo il punto, senza scendere a compromessi, la satira libera difende la libertà di tutti. Tu cosa fai per difendere la satira libera?

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