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L’arte infame della censura

FQ Millennium, il mensile del Fatto quotidiano, nel numero di settembre dedicato alla censura ha pubblicato una mia disamina del fenomeno. Ecco il testo.

L’arte infame della censura

di Daniele Luttazzi

La satira vera, ricordava Dario Fo, si vede dalla reazione che suscita. Da noi, se la fai in tv vieni sottoposto a un protocollo disciplinare che prevede sei sanzioni progressive: denigrazione, censura, vessazione, lite temeraria, character assassination e damnatio memoriae. C’è anche chi partecipa ai linciaggi semplicemente perché è un pezzo di merda e si diverte così.

Denigrazioni

Appena cominci a dire la tua in modo divertente, informato e persuasivo in un programma tv, politici, giornalisti di parte, e stronzi semplici a cui stai sui coglioni cominciano a denigrarti: non fai ridere, sei volgare, sei fazioso. L’accusa che non fai ridere è la più ridicola: basta il dvd di un tuo spettacolo, dove fai ridere una platea di duemila persone per due ore e mezzo, a smentirla. E comunque la risata non è un criterio: le battute satiriche non fanno ridere i propri bersagli. L’accusa che sei fazioso, invece, è da ignoranti: la satira nasce faziosa, perché esprime un giudizio: è inevitabilmente politica. Gente che leccava il  culo a Berlusconi da 20 anni dava a me del fazioso! Quanto alla volgarità, anche di Boccaccio e Lenny Bruce i parrucconi dicevano che erano volgari; ma la volgarità è la tecnica della satira: scandalizzarsi delle parole, e non delle nequizie che denunciano, dimostra una scala di valori corrotta. Non ho mai visto un monologo satirico molestare bambini in sacrestia o bombardare popolazioni civili per prendersi il loro petrolio. E l’art. 33 della Costituzione sancisce la libertà dell’arte. L’accusa che insulti è il pretesto con cui chiusero Decameron, ma la satira non offende le persone: solo i loro pregiudizi. Si inventano fatti mai accaduti: nel 2004, l’ANSA scrive che in una scena dei miei Dialoghi platonici “Andreotti denuda e sodomizza il cadavere di Moro. Uno spettacolo choc” che però non c’è stato. Il Giornale, Libero e il Messaggero mi attaccano lo stesso, e Mauro Mazza, direttore del Tg2 in quota AN, lo fa nell’edizione delle 13 e 30. Le polemiche si spengono quando mostro il video della serata, ma nessuno rettifica. Nel 2011 Mario Giordano, sul Giornale, afferma che Satyricon faceva parte di un piano anti-berlusconiano concordato, in vista delle elezioni, dal presidente Rai Zaccaria durante una fantomatica riunione a casa sua. Lo aveva scritto Vespa nel 2002: Zaccaria lo querelò e vinse la causa. Su La7, il giornalista di Libero Francesco Specchia sentenzia incontrastato che Decameron fu chiuso perché non faceva ascolti. Neppure il dirigente tv che cassò il programma usò questo argomento falso. Freccero supera tutti due anni fa: “Niente programma di Luttazzi su Rai Due perché chiede 100 mila euro a puntata”. Una balla (cfr. bit.ly/3iSMspU), ma i giornaloni la pubblicano e, con le altre, è ancora in Rete. Il web come lettera scarlatta 2.0. Arrivano a sostenere che la censura è un vantaggio perché dà popolarità. Secondo i bastardi, cioè, dovresti ringraziare il sopruso. A parte che la censura è un danno economico notevole (Mike Bongiorno: “Daniele, così ti sei rovinato.”), il sillogismo corretto è questo: la gente prova simpatia per la tua satira, a causa della quale subisci il sopruso. Altri, e sono i tirapiedi peggiori, ciurlano nel manico. Vieni censurato, e loro ti scherniscono dicendo di non fare la vittima. A causa della censura lavori sempre meno in teatro? Scrivono che “neanche i teatri lo vogliono più”. Non sei più in tv causa censura? Sei “un fallito”. Chiudono Decameron, e Michele Serra scrive su Repubblica che quando un comico viene censurato, metà della colpa è anche sua (il vecchio argomento della minigonna che causa lo stupro). A Raiperunanotte cito Quintiliano: “Odiare i mascalzoni è cosa nobile.” Il giorno dopo, il pezzo di Grasso sul Corriere s’intitola: “Luttazzi incita all’odio”. Replichi nel merito? “Si prende troppo sul serio”. Pigi Battista mi dà del manganellatore mediatico (ma qui credo c’entri l’Edipo, visto che suo padre era un volontario della RSI e un dirigente del MSI), e poi accetta di prendere su Rai 1 il posto di Enzo Biagi defenestrato dopo l’editto bulgaro. C’è pure chi proclama “Luttazzi è come Berlusconi”. Un blog ha compilato la lista completa dei compagni di merenda: bit.ly/2VJn7VX.  

   Da qualche anno, infine, i giornaloni sono impegnati a stigmatizzare l’antiberlusconismo e i suoi protagonisti. Un modo è intervistare comici, giovani e no, concordi nell’affermare che fare satira contro Berlusconi era facile; che quella satira non faceva ridere; che ce n’era troppa, tanto da rendere Berlusconi simpatico; e che le televisioni non censurano, ma fanno legittime “scelte editoriali” (la censura non è una mera scelta editoriale, ma la ridefinizione serve a quei comici per giustificare la conveniente autocensura). Purtroppo per loro, io sono la dimostrazione vivente che si tratta di menzogne spudorate. Coloro che le propalano, guarda caso, lavorano senza ostacoli in Rai da anni (pure da Vespa: ben gli sta).  

Censure

Ha gioco facile chi sostiene che in Italia non c’è la censura: in apparenza, chiunque può dire e fare ciò che vuole. Ma non in tv, che ha ancora l’impatto maggiore, dove puoi dire e fare ciò che vuoi finché te lo permettono i clan al potere (di destra, di sinistra, di centro, massonici, cattolici, confindustriali &c.), che spesso fanno accordi sottobanco, sicché la coltellata ti può arrivare alle spalle. 1989: a “Fate il vostro gioco” (Rai Due) cassano all’istante, durante la prova generale, il monologo sulla notizia del giorno, un caso di pedofilia: “Mio padre è uno stronzo. L’altro giorno l’ho sorpreso al telefono. Stava contrattando l’affitto di una bambina messicana, per i suoi piaceri particolari. E si esprimeva in questi termini: ‘Cosa posso farle a quell’animaletto? Posso farle la pipì nell’orecchio? Posso infilzarle gli spilloni nella carne viva? Posso iscriverla al Partito socialista?'” Nella Rai Due craxiana. Tempo un minuto e il regista mi porta il necrologio: “A Roma hanno visto il monologo in bassa frequenza. Per questa puntata non fai nulla. Le prossime vediamo.” Mi pagano per tredici puntate, come da contratto, ma per fare tappezzeria. L’anno dopo, nel varietà di Telemontecarlo “Banane”, registro gli sketch “Marzullo intervista Hitler” e  “Marzullo intervista Gesù”: il produttore, Sandro Parenzo, taglia tutto. 1998, Barracuda (Italia 1, direttore Giorgio Gori): nella prima puntata intervisto Claudio Martelli. Senza dirmelo, Fatma Ruffini, direttrice dei programmi RTI, toglie al montaggio la risposta di Martelli: “Berlusconi non è un politico, è un piazzista.” La penale miliardaria prevista dal contratto mi impedisce di andarmene subito come vorrei. Nel 2001 passo alla Rai, e a Satyricon invito ospiti come Marco Pannella, che attacca la Chiesa per le sue posizioni oltranziste su droga, aborto e anticoncezionali; e Marco Travaglio, che parla delle origini misteriose della fortuna di Berlusconi. Succede il finimondo, e nel 2002, durante una visita di Stato in Bulgaria, Silvio pronuncia il famigerato “editto bulgaro”. Mi estromettono dai palinsesti Rai (a Rai Tre i comici lavorano anche durante il regno birbonico, ma solo se pidini). Nonostante il grande successo di Satyricon (o meglio: “a causa” del suo successo), non posso tornare in Rai da 20 anni (“Normale turn over“, lo definì Vincino, che infatti faceva vignette sul Foglio). 2004: Baudo mi invita a parlare di censura in un suo programma, e poi taglia via le battute politiche più caustiche, sviando con una menzogna (“Luttazzi era presente al montaggio”) i giornalisti che gli chiedono informazioni. Nel 2007, a La7, Campo Dall’Orto chiude arbitrariamente Decameron col pretesto di una battuta su Giuliano Ferrara: in questo modo non va in onda la puntata successiva, già registrata e montata, che si apre con un monologo satirico sulla Spe Salvi di Ratzinger e sulle ingerenze della Chiesa nella vita civile. Baldini, del Cdr di La7, aggiunge: “Ogni volta che La7 fa un programma di successo, e Decameron,  con punte di 2,7 milioni di spettatori, lo è, viene stoppato. Per la pubblicità le aziende, anche Rai e Mediaset, si contendono pure lo 0,1% di ascolti. E se un programma scompagina gli ascolti è meglio chiuderlo.” Nel 2009, il Times mi intervista sulle mie vicende tv. Domande scritte e risposte scritte. Dico, fra l’altro: “Tre anni fa, Sky Italia chiese di incontrarmi. Proposi un Tg satirico. Mi chiesero come avrei reagito se avessero tagliato al montaggio qualche battuta. Gli risposi che il contratto glielo avrebbe impedito. Sono spariti.” Il Times pubblica l’intervista togliendo quel paragrafo: Sky è di Murdoch, come il Times. 2016: GQ Italia, mensile della Condé Nast, mi chiede un articolo per il numero 200 in quanto firma storica (i primi tre anni scrivevo la rubrica di apertura). Il direttore Emanuele Farneti legge il pezzo (una parodia satirica del sommario di GQ) e mi propone entusiasta una collaborazione annuale. Due settimane dopo, salta tutto: ai piani alti, mi spiega, temono ripercussioni dagli sponsor. 2019: il neo-sovranista Freccero annuncia che non mi farà fare il nuovo programma, che aveva tanto annunciato, anche perché faccio satira sulla religione: nessuno obietta. Abbiamo pure la censura preventiva: lo iettatorio Huffington Post titola, alla notizia di quel mio rientro, “Perché oggi Luttazzi farebbe flop tornando in tv”. Fammi provare, almeno.

Vessazioni

Dopo Satyricon, ricevo minacce di morte e sono costretto a girare in tour con una guardia del corpo. Il telefono di casa viene controllato per mesi, non so da chi. Il Giornale pubblica la mia dichiarazione dei redditi con in primo piano il mio indirizzo. Subisco due furti misteriosi: nel primo, la casa viene messa a soqquadro e sparisce solo il mio computer. Nel secondo, prendono tutto il resto (è quasi un trasloco), e sul tavolo all’ingresso pongono un’incongrua boccetta di profumo Denim (“Per l’uomo che non deve chiedere mai”). Fiumicino, dove abitavo, viene tappezzata da manifesti di un gruppo neo-fascista in cui campeggia a caratteri cubitali il monito “Luttazzi taci!”. Dal 2001 al 2009 faccio tournée teatrali incontrando difficoltà crescenti: amministrazioni e politici di destra, in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Puglia e Sardegna, esercitano pressioni sugli organizzatori, anche attraverso gli sponsor (banche, enti, &c.), per non ospitare i miei spettacoli, e a volte ci riescono. In ogni località, i consiglieri comunali di destra montano polemiche, pre e post spettacolo: a Latina, alla fine di una serata la polizia mi scorta per prudenza fino al confine comunale. Non mancano le intimidazioni vigliacche: un giorno arrivo a Lecce, e tutta la città è addobbata da annunci funebri con sopra il mio nome. La censura a me, fra l’altro, intimidisce gli altri comici: chi vuole lavorare in tv, in teatro, o fare cinema, preferisce stare alla larga dalla satira. I più furbacchioni, oggi, teorizzano la satira disimpegnata, e i giornaloni applaudono, come se la paraculaggine fosse una virtù.

Liti temerarie

Berlusconi, Mediaset, Fininvest e Forza Italia mi fanno causa per diffamazione, chiedendo una quarantina di miliardi di risarcimento: resto impegnato nei tribunali per 16 anni, ma vinco tutti i processi, poiché la mia intervista a Travaglio non diffamava nessuno, e la mia satira era a norma di legge. Il gruppo Cremonini mi fa causa per 120 miliardi: vinco anche quella. Dovrebbe essere la dimostrazione che faccio satira con criterio; e invece adesso  le tv mi propongono sempre contratti con cui pretendono il controllo totale sui contenuti. Siccome controllare la satira è una forma di censura, offro una soluzione che salvaguardi il loro diritto di decidere cosa trasmettere, e il mio diritto di fare la satira che voglio: consegnerò la registrazione della puntata il giorno prima della messa in onda, la tv potrà decidere quali pezzi tagliare, e al loro posto metterò un riquadro nero con la scritta “materiale satirico giudicato non idoneo alla messa in onda”. Non accetta mai nessuno. Così, i prepotenti che mi fecero cause pretestuose per tapparmi la bocca e danneggiarmi economicamente, psicologicamente, e professionalmente, in pratica hanno vinto. Contro le querele vessatorie propongo da Enzo Biagi, nel 2007, il “comma Luttazzi”: se uno ti fa causa per miliardi e perde la causa, quei miliardi li deve dare lui a te. Mi fa piacere che da allora giornalisti e politici abbiano fatto propria questa battaglia: purché ci si arrivi. Ogni volta mille ostacoli all’iter, e poi il nulla.  

Character assassination

Se il satirico non demorde, mietendo consensi, si cerca di distruggerne la reputazione con campagne diffamatorie, tipo “Luttazzi plagia” e “Luttazzi è un evasore fiscale”. Tutte balle (cfr. bit.ly/3yQMmEQbit.ly/3ySsCk2), ma fanno presa sugli sprovveduti, che purtroppo sono la maggioranza; e non puoi fare causa a chi amplifica denunce anonime (“la Rete dice che”) o processi in corso. Un altro modo è descriverti come un opportunista: Davide Parenti, il capo delle Iene, disse che la mia intervista a Travaglio fu un accidente nel quale incappai per caso, “anche se poi Luttazzi ha capito che tanto valeva cavalcarla e fare l’eroe civile. E’ così attaccato ai soldi che se avesse capito che ci rimetteva anche solo centomila lire…” (sarei pure tirchio, dunque, a differenza di Parenti, l’autore di sinistra che da anni macina milioni nelle tv di Berlusconi perché non è opportunista, e ogni giorno regala banconote da 100 ai passanti); Repubblica, dopo l’intervista censurata da Baudo, sostenne a tutta pagina, con una paternale firmata da Sebastiano Messina e Leandro Palestini, che mi ero autocensurato perché volevo tornare in Rai a tutti i costi.  

Damnatio memoriae

I media escludono il convitato di pietra dal discorso pubblico, che è la loro camera degli echi. Per un anno, Repubblica scrive dell’editto bulgaro contro Biagi, Santoro e… Fazio! Smettono quando interviene Antonio Ricci a sottolineare la belinata. Da allora scrivono dell’editto contro Biagi e Santoro. Stop. Un’amnesia giornalistica così frequente che sul mio blog la definisco “bulgarite” nella rubrica dedicata alle sue occorrenze. E non danno mai notizia dei successi: che a un certo punto gli ascolti di Satyricon sono stellari e costantemente sopra quelli di Vespa e Costanzo; che lo share del programma di Baudo, durante il mio intervento, balza dall’8% al 21%; che Decameron, venduto ai pubblicitari per uno share stimato del 2,5%, ha punte del 9%, in uno slot dove La7 fa di solito lo 0,8%; che la mia intervista da Enzo Biagi tocca il picco degli ascolti di quell’edizione, superando il 20% di share; che il mio monologo a Raiperunanotte raddoppia, durante i suoi 15 minuti, gli ascolti del programma, facendo inoltre raggiungere all’hashtag #raiperunanotte i 5700 tweet/h, un record assoluto per l’Italia secondo il ricercatore della LUISS Luca Alagna; che il giorno dopo, su YouTube, il video di quel monologo totalizza di botto 800mila visualizzazioni. Due pesi e due misure: quando Corrado Guzzanti, col video di Aniene, tocca le 600 mila visualizzazioni in una settimana, Repubblica dedica all’evento due pagine a colori (meritatissime). Dulcis in fundo: nei filmati di La7 realizzati per commemorare il ventennale dell’emittente, quest’anno, non c’era alcun estratto di Decameron

Danni della censura

L’Italia è l’unica nazione occidentale, oggi, in cui la satira libera in tv rappresenti un problema. La censura tv proibisce a te di esprimere le tue idee, e al grosso pubblico di ascoltarle. Fare tv non è un hobby, è un lavoro, e se non te lo fanno fare per motivi ideologici è maccartismo, un illecito che in Italia sarebbe vietato dall’art. 8 dello Statuto dei lavoratori. Alla lunga, il confino mediatico ti toglie popolarità, e dunque il resto (teatri, film, pubblicità, libri, dvd); riduce la risonanza di qualunque attività intraprendi. Ma se accetti un controllo sulla tua satira, accetti una censura sulle tue opinioni: mantenendo il punto, senza scendere a compromessi, la satira libera difende la libertà di tutti. Tu cosa fai per difendere la satira libera?

Sul Vietnam afghano

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Non c’è di che di Daniele Luttazzi (martedì 15 giugno)

L’Italia via dall’Afghanistan. (Agenzia DiRE, 8 giugno 2021)

Raccontando la ritirata militare Nato dall’Afghanistan, i giornaloni scrivono che gli USA di Bush fecero la guerra all’Afghanistan come reazione all’11 settembre. Così però non si capisce nulla. Perché attaccare l’Afghanistan, se 15 dei 19 terroristi dell’11 settembre venivano dall’Arabia Saudita? Perché l’Arabia Saudita è una delle due amanti legittime che gli USA hanno in Medio Oriente (l’altra è Israele). Per fortuna, Bush aveva le prove che bin Laden era collegato a Goldfinger, e potè far partire la “guerra al terrore”. Come pretesto, Bush accusò i talebani di non volergli consegnare bin Laden. Gli USA stanziarono pure una taglia su bin Laden: 25 milioni di dollari. Nessun risultato. Allora la aumentarono a 50 milioni. Perché è noto che i pastori di capre in Afghanistan non si alzano dal letto per meno di 50 milioni di dollari. Immagino i falchi neo-con: “25 milioni di dollari, capiamo perché non ce lo hanno consegnato. Ma con 50 milioni di dollari dovremmo convincerli.” “Per 25 milioni di dollari hanno detto di no?! Chi si credono di essere, Tom Cruise?” diceva nel 2007, a teatro, un comico che chiedeva a gran voce il ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan, mentre il ministro della Difesa Parisi affermava al Tg2: “Quella in Afghanistan è una missione militare per la pace in una situazione che presenta molti tratti che richiamano la guerra.” Questa frase presentava molti tratti che richiamavano la stronzata: eravamo in guerra, nonostante la nostra Costituzione lo vieti (lo siamo stati fino al 2015). L’Italia berlusconiana e ulivista si era accodata agli Usa, che 10 anni prima stavano con i talebani, così come erano stati con Saddam, a cui fecero guerra due anni dopo con altri pretesti (Saddam non aveva “armi di distruzione di massa”; né legami con Al Qaeda, nonostante la serie Homeland, pluripremiata, nella terza stagione accreditasse questa mistificazione). (Nota: negli anni ’80, gli USA di Bush padre avevano finanziato Saddam in funzione anti-iraniana, e gli avevano fornito tutto il gas necessario per sterminare i curdi, gas che era prodotto da una società di Bush padre. A parte che, se proprio vuoi eliminare tutti i dittatori dalla faccia della Terra, perché cominciare dalla lettera S? Vai almeno in ordine alfabetico, Cristo! Mussolini invade l’Abissinia. Perché? E’ alfabetico. Lui lo sapeva, Bush no.) “Coi talebani o contro? Gli USA si decidano, una buona volta, o il resto del mondo penserà che D’Alema non abbia una politica estera!”, diceva a teatro quel comico. Diventò una guerra in cui a un certo punto i talebani, che sono pashtun, venivano accolti come liberatori dalle popolazioni pashtun a sud e a est. Con gli USA che ammettevano di non sapere quando sarebbe finita, ipotizzando addirittura la guerra all’Iran. Bush rassicurò: “Non c’è nessun piano di attacco contro l’Iran. Lo attaccheremo senza alcun piano, come con l’Afghanistan.” (La guerra all’Iran era un’altra delle idee da dottor Stranamore promosse dal “Progetto per un nuovo secolo americano”, think tank neo-con che annoverava guerrafondai del calibro di Cheney, Rumsfeld, Wolfowitz, Libby, Ledeen, Perle, Bolton. Nel 2000, un loro documento, “Ricostruire le difese dell’America”, proponeva gli USA come poliziotti del mondo per meglio garantire gli interessi USA. Scrivevano: “Il processo di trasformazione risulterà molto lungo, se non si dovesse verificare un evento catastrofico e catalizzante, come una nuova Pearl Harbor.” Sicché i complottisti fecero due più due quando, l’anno dopo, ci fu l’11 settembre, l’evento catastrofico e catalizzante che proiettò gli USA nelle guerre coloniali in Afghanistan e in Iraq.) (1. Continua)

Non c’è di che di Daniele Luttazzi (mercoledì 16 giugno)

Lo sviluppo batterà i talebani, ecco perchè restiamo a Kabul. L’Afghanistan è una specie di gigantesca miniera non ancora sfruttata. Stiamo parlando di risorse energetiche come petrolio o gas, ma pure oro, ferro, rame e litio. L’ovest sotto nostro controllo è un terreno vergine dove ci sarebbero molte risorse da verificare e da esplorare. I nostri soldati sono in prima linea e combattono un nemico, ma nell’Afghanistan occidentale anche grazie allo sviluppo stiamo già conquistando i cuori e le menti degli afghani. (Paolo Romani, quando era Ministro per lo Sviluppo Economico del governo Berlusconi)

L’Italia via dall’Afghanistan. (Agenzia DiRE, 8 giugno 2021)

Gli USA fecero guerra all’Aghanistan dopo l’11 settembre col pretesto che i talebani non consegnavano bin Laden; ma, come ricordava ieri Massimo Fini su queste pagine, i talebani non c’entravano nulla con bin Laden, al Qaeda e l’11 settembre. La verità è che agli USA di Bush interessavano le condotte di gas e petrolio in Afghanistan, e l’Italia si accodò alla guerra (in barba alla Costituzione) perché è una provincia dell’Eni. (Altre aziende italiane coinvolte nel progetto di costruzione di infrastrutture in Afghanistan: Terna, Enel, Trevi, società agroalimentari e della refrigerazione.) Gli errori madornali furono: instaurare un governo corrotto e incapace; imporre una democrazia centralizzata e un’economia di mercato a un’antica società tribale; la pianificazione sconclusionata (Whitlock, 2019); e cercare di ricostruire l’Afghanistan facendo contemporaneamente la guerra ai talebani, che sono pashtun, la fazione principale del Paese (Fisher, 2001). Fra l’altro, i talebani sono nemici dell’ISIS, sicché gli USA, attaccando i talebani, favorivano l’ISIS. Senza dimenticare le cappelle alla Jerry Lewis, tipo quella di far finire nelle mani dei talebani circa 2,16 miliardi di dollari stanziati per promuovere lo sviluppo in Afghanistan, attraverso i subappalti di otto ditte di trasporti afghane. Risultato di 20 anni di guerra: centinaia di migliaia di morti; il rafforzarsi dei talebani e dell’ISIS; niente democrazia, né stabilità, né sicurezza (un mese fa, un attentato contro una scuola ha ucciso 80 studentesse a Kabul). Il tutto alla modica somma di 133 miliardi di dollari, che aggiustati all’inflazione sono più di quanto gli USA spesero in Europa col Piano Marshall, e la Rai per il contratto a Fabiofazio. Li avessero dati a me, avrebbero fatto meno danni, e li avrei spesi meglio (avrei comprato la Rai per licenziare Fabiofazio; e il resto l’avrei dato a Emergency) Come si è arrivati alla disfatta? I prossimi cenni storici vi sbalordiranno non poco, se di solito vi informate dagli articoli di Gianni Riotta. Non si stupirà invece chi ha letto altrove dei fallimentari interventi USA in Iraq, Siria, Libia, Yemen, Haiti e Somalia. “Non abbiamo un modello di stabilizzazione post-conflitto che funzioni”, ammette oggi Stephen Hadley, che era national security adviser sotto Bush.
1973: un colpo di Stato in Afghanistan detronizza il re Zahir Shah.
1978: il Partito Democratico del Popolo afghano (PDPA), filo-sovietico, instaura la Repubblica Democratica dell’Afghanistan, guidata da Mohammad Taraki; ma le riforme del nuovo regime (sovietizzazione, laicizzazione) generano malcontento nella popolazione. In questo contesto comincia a organizzarsi la resistenza islamica armata.
1979: la guerriglia islamica (sostenuta da Iran, Pakistan e Cina) controlla quasi l’80% del territoro afghano. Taraki viene ucciso. L’Urss invade l’Afghanistan. Gli Usa rispondono per le rime: a Washington esce in prima mondiale il film Star Trek. (2. Continua)

Non c’è di che di Daniele Luttazzi (giovedì 17 giugno)

Andare via dall’Afghanistan non sarebbe un atto politico, ma la rinuncia ad esercitare il nostro ruolo politico nella comunità internazionale e ci isolerebbe in Europa e nel mondo. (Massimo D’Alema, 2007)

Continuo coi cenni storici sul Vietnam afghano (cui abbiamo partecipato in barba alla Costituzione) perché non ho di meglio da fare, a quanto pare.
Luglio 1979: Gli USA cominciano ad aiutare i mujaheddin. Brzezinsky, consigliere per la Sicurezza Nazionale USA, scrive una nota al presidente Carter: a suo parere quell’aiuto avrebbe determinato un intervento armato dell’URSS in Afghanistan. Quando a dicembre l’URSS invade l’Afghanistan, Carter si finge sorpreso. 1980: Usa e Arabia Saudita danno al Pakistan finanziamenti, intelligence, aiuti militari e abbonamenti a Penthouse per fermare l’avanzata sovietica in Afghanistan. La guerra contro l’URSS viene presentata al popolo afghano, e alle decine di migliaia di volontari arabi provenienti da tutto il mondo, come una guerra santa islamica (jihad) contro gli infedeli comunisti. Capito a cosa serve la religione? Il colonnello Trautman rintraccia Rambo in Thailandia e lo invia sotto copertura in Afghanistan, dove Stallone semina il panico fra le truppe sovietiche con la sua recitazione. 1989: l’URSS se ne va dall’Afghanistan,  ma la successiva guerra civile fra i mujaheddin (sostenuti da USA, Pakistan, Arabia Saudita, Iran e Cina) e il governo afghano filosovietico delude gli spettatori, che le preferiscono Baywatch. 1991: geniale inventore miliardario, sciupafemmine e filantropo, il giovane bin Laden, che aveva partecipato alla guerriglia dei mujaheddin venendo ferito, si sposta in Sudan, dove crea una speciale armatura volante con magnete pettorale, e un vasto movimento islamico antiamericano. L’America inizia la guerra del Golfo contro l’Iraq, accusandolo di essere entrato in Kuwait senza usare le pattine. In Asia Centrale è in atto il “Grande Gioco”. La zona è ricca di risorse naturali, fonti energetiche, materie prime e oppio, ed è via di transito per gasdotti, oleodotti e droga orientale. Per l’estrazione e il trasporto di gas e petrolio la fanno da padroni Russia (Gazprom), USA (Unocal e Chevron), Turchia e Cina. Incomprensibilmente inutilizzati i vasti giacimenti di formaggio Dover presso Jalalabad. 1992: i mujaheddin abbattono il governo filosovietico del PDPA: nasce lo Stato Islamico. Senza più nemici, ai mujaheddin non resta che farsi guerra fra loro: quelli capitanati da Rabbani e Massud (sostenuti da Iran, Russia e India) sconfiggono la compagine di Hekmatyar (sostenuta da Pakistan e Arabia Saudita), conquistando Kabul. Meritate le vacanze a Mordor. 1994: il Pakistan decide di appoggiare il movimento integralista islamico del mullah Omar, cioè i talebani: un governo filo-pakistano permetterebbe agli USA di implementare il progetto Unocal di un gasdotto attraverso l’Afghanistan. Aiutati anche da Arabia Saudita e Qatar, in due anni i talebani si prendono buona parte del Paese, puntando, come indicato dalla loro carta degli Obiettivi, a Pamela Anderson. 1996: Gli USA accusano Bin Laden di addestrare terroristi in Sudan, e sottopongono il Sudan a un embargo totale, ghiaccioli alla menta compresi, i preferiti da bin Laden. Questi allora torna in Afghanistan, dove, grazie alle sue ingenti risorse finanziarie, scopre la cura contro il cancro. Quando il mullah Omar va al potere, i mujaheddin di Hekmatyar si ritirano con altre fazioni nel nord del Paese, formando “l’Alleanza del Nord”, perché “i Vendicatori” era già stato preso. (3. Continua)

Non c’è di che di Daniele Luttazzi (martedì 22 giugno)

Continuiamo coi cenni storici per capire meglio, oppure peggio, il casino combinato in Afghanistan dalla ventennale guerra Usa cui abbiamo partecipato in barba alla Costituzione. 1998: Gli USA bombardano la regione di Khost, facendo strage di civili. I talebani, la cui flotta aerea si riduce a qualche tappeto volante armato di noci di cocco, fanno una proposta a Clinton: indicheranno dove si trova bin Laden; oppure lo faranno fuori loro, ma gli USA dovranno attribuirsene l’omicidio, non come fecero con Oswald. Clinton, distratto dai pompini di Monica Lewinsky, lascia cadere la proposta e le sborra in faccia. 1999: la Strategic Review scrive: “La regione Asia centrale-Medio Oriente contiene la più grande concentrazione mondiale di riserve di idrocarburi e merita l’attenzione statunitense.” Gennaio 2001: Bush figlio diventa Presidente: va al potere un’amministrazione guerrafondaia legata agli interessi delle lobby petrolifere. Marzo 2001: primo ultimatum USA ai talebani: “Consegnateci bin Laden o vi seppelliamo di petrolio. No, cioè, di bombe, volevamo dire.” Agosto 2001: contro bin Laden, gli USA appoggiano Massud, il comandante mujahiddin simbolo della resistenza anti-sovietica e anti-talebana. Ottobre 2001: gli Stati Uniti attaccano l’Afghanistan e in due mesi rovesciano il regime talebano. Il portavoce dei talebani, il mullah Abdul Salam Zaeef, dice: “Domani i talebani cominceranno a consegnare le loro armi. Credo cher dovremo tornare a casa.” Ma gli USA rifiutano la resa: vogliono continuare la guerra per cancellare i talebani dal Paese. Intanto insediano Karzai (che in afghano significa “pupazzo della CIA”) e impongono uno Stato centralizzato di tipo occidentale. Karzai si mette subito al lavoro: amplia il divario fra ricchi e poveri, estende la corruzione a giudici e polizia, coinvolge ministri in scandali immobiliari, e cede l’economia al narcotraffico (suo fratello diventerà uno dei maggiori narcotrafficanti afghani. Nel 2006, l’Afghanistan batterà ogni record nella raccolta di oppio – 6100 tonnellate, ovvero il 92% della fornitura mondiale – nonostante l’amministrazione Bush, con l’Europa, avesse fatto piovere in Afghanistan miliardi di dollari per un programma di eradicazione delle piantagioni di oppio. Un funzionario ONU, Anton Maria Costa, attribuisce la colpa ai talebani, anche se i talebani erano sempre stati contro la coltivazione di oppio, in quanto contraria ai princìpi dell’Islam: sotto i talebani, il raccolto dell’oppio era calato del 95%. La guerra alla droga e al terrore, insomma, ha avuto come risultato l’incremento della guerra, della droga e del terrore. L’aspetto positivo è che tutto questo oppio, adesso, sarà molto utile ai reduci USA). Nelle città un tempo sotto il controllo talebano, dove vigeva la sharia più rigorosa, per la prima volta dopo anni le donne afghane possono togliersi il velo e camminare tranquille per le strade. Zoccole. Qualche anno dopo, Bush dichiarerà: “L’Afghanistan ha oggi una nuova costituzione, che garantisce elezioni libere e voto alle donne. Si intraprendono nuove attività commerciali, si aprono nuovi ospedali e centri di assistenza, e i bambini sono tornati a scuola. Oh, e come se non bastasse: eroina, eroina, eroina. Ci sono enormi possibilità occupazionali nel ramo eroina.” Cheney propone di adottare la sharia negli USA. Rumsfeld annuncia una taglia da 25 milioni di dollari a chi cattura bin Laden, bin Laden ne annuncia una di 100 milioni a chi non lo fa. Viene preso in Afghanistan John Walker Lynn, un americano ventenne che studiava in Pakistan e stava combattendo insieme coi talebani. L’FBI definisce il caso il peggior progetto Erasmus di tutti i tempi. (4. Continua)

Non c’è di che di Daniele Luttazzi (mercoledì 23 giugno)

Altri cenni storici per capire meglio, oppure no, il casino combinato in Afghanistan dalla ventennale guerra Usa cui abbiamo partecipato in barba alla Costituzione. 2003: gli alpini si installano nella base di Khost e si accordano con i talebani: “Faranno solo finta di controllare la zona, e i talebani li lasceranno tranquilli.” (Fini, 2011). Bush ci prende gusto e dichiara guerra a un’altra nazione che non c’entra nulla con l’11 settembre: l’Iraq di Saddam Hussein, un nemico di al Qaeda. Il pretesto: inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam. La prova: un documento tarocco su uno scambio di materiale nucleare fra Iraq e Niger. Sul caso Nigergate, e sugli attivissimi propagandisti italiani della guerra in Iraq (Rocca, Ferrara e Rossella), cfr. Lepidezze postribolari, 2007. Gli USA prendono Rumaila, dove si trova il più importante giacimento petrolifero iracheno, il quinto del mondo, con dimensioni paragonabili alle intere riserve nazionali statunitensi. Il primo giorno di guerra, le quotazioni del greggio chiudono con il brent a 25,50 dollari al barile: dopo cinque anni di guerra, arriverà sopra i 60 dollari al barile. Rinviato l’annuale picnic dell’Asse del Male (Iran, Iraq e Corea del Nord). 2004: Dibattito elettorale in tv. Edwards: “Ci sono 60 nazioni che hanno al Qaeda al loro interno. Quante ne invaderemo?” E sul volto di Cheney un sorriso beffardo segnala tutto il ventaglio di possibilità che gli si è aperto in mente. Per il terzo anniversario dell’attentato al World Trade Center, la CNN ritrasmette la cronaca di quel giorno. Bush, che sta pigiando a caso tasti del telecomando, sbianca: “Oh, no! L’hanno fatto di nuovo!” 2005: In risposta alla politica dell’attacco preventivo teorizzata da Wolfowitz, l’Iran annuncia che sta fabbricando la bomba atomica. Perché non ne ordinano una alla Rinascente, come ha fatto la Corea del Nord? La National Rifle Association propone di dotare di bazooka ogni americano che viaggia in aereo. Bin Laden si è rifugiato ad Abbottabad, in Pakistan (Riedel, 2021). A New York, il dott. Al Qaeda, urologo, dichiara al New York Post di essere “francamente scocciato” dei continui scherzi telefonici. 2006: la Gran Bretagna sventa un piano di bin Laden: far esplodere in volo sei aerei diretti negli USA e in Canada. Nell’ultimo video diffuso da Al Jazeera, bin Laden legge a voce alta il nuovo libro di Susanna Tamaro. “Sapevamo che bin Laden fosse malvagio,” dice un agente CIA sotto copertura “ma non pensavamo potesse arrivare fino a tanto.” Da quando gli hanno regalato la videocamera per il suo compleanno, bin Laden non se ne separa mai. “Non solo gira questi video noiosissimi, ma ci costringe pure a sederci e a guardarli con lui. Che due coglioni!” sbotta un terrorista di al Qaeda. Un comico commenta: “Se i terroristi come bin Laden credono davvero che l’Occidente sia corrotto, dovrebbero smettere di usare la nostra tecnologia. Videoregistratori, cellulari, computers, aerei: tutto quello che impiegano per compiere i loro attentati. Usate le vostre spade curve. Se c’è qualcosa di più irritante di un terrorista malvagio, è un terrorista ipocrita.” La madre di Osama bin Laden si dice nauseata da ciò che sta facendo suo figlio. Ah, no, scusate: questa era la madre di Bruno Vespa. Viene ucciso al-Zarkawi, uno dei principali leader di al Qaeda. Secondo la tradizione islamica, gli spettano 72 vergini in paradiso. Ma gli studiosi del Corano non sono unanimi: per alcuni sono 72 vergini, per altri ci sarebbe un errore di traduzione e in realtà sarebbero 72 gattini. La NATO incalza, il cerchio si stringe. A bin Laden restano tre possibilità: restare in Afghanistan, andarsene dall’Afghanistan, o arrendersi personalmente a Oriana Fallaci. (5. Continua)

Non c’è di che di Daniele Luttazzi (giovedì 24 giugno)

Funerali dell’alpino morto in Afghanistan. Berlusconi assente (Reuters, 21 gennaio 2011)
L’Italia via dall’Afghanistan. (Agenzia DiRE, 8 giugno 2021)

2008: la Cnn rivela che rappresentanti del governo afghano e dei talebani si sono incontrati alla Mecca sotto l’egida del re saudita Abdullah. Si va verso un accordo. Un comico italiano scrive sul suo blog: “La notizia clamorosa è che il Mullah Omar ha rotto l’alleanza con bin Laden. Se è vero, bin Laden ha i giorni contati.” Il 3 ottobre, nello show di Bill Maher, la giornalista Christiane Amanpour rivela che bin Laden non si nasconde in una grotta, come sostenevano i media occidentali, ma in una bella villa in Pakistan. 2009: Obama diventa presidente e dice che l’obiettivo in Afghanistan e in Pakistan è “distruggere, smantellare e sconfiggere al Qaeda”. Karzai è una sorta di sindaco di Kabul: dopo anni di guerra, il resto dell’Afghanistan è senza Stato. Gli USA aumentano le truppe, insediano in ogni zona conquistata un avamposto del governo che tratti i capi precedenti come nemici mortali, e sperano che i locali abbraccino il nuovo ordine. Perché loro sono Capitan America, e i talebani sono l’Hydra. Ma finché il Pakistan aiuta addestra equipaggia protegge i talebani, è impossibile sconfiggerli. Né si può fare guerra al Pakistan: ha l’atomica, è abitato da 224 milioni di persone, e ha come alleata la Cina. 2011: Obama, dimostrando un autocontrollo ammirevole, fa uccidere Osama dai Navy Seals: era in un complesso residenziale ad Abbottabad (Pakistan). 2021: USA e alleati lasciano l’Afghanistan. E’ la lezione del Vietnam: una volta che le cose si mettono male, non sono destinate a migliorare. Come in una storia d’amore. Questa guerra è stata comunque un’ottima esercitazione per la Nato, nel caso si trovi in futuro ad affrontare un esercito vero. Adesso i talebani possono riprendersi il Paese e tornare a conculcare le libertà civili in santa pace, sempre che ne trovino ancora qualcuna. (6. Fine)
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E vai, nella moda, con gli abiti dai colori squillanti, abolito il grigio che fa pensare ai superstiti delle Torri Gemelle. (Repubblica, 20 settembre 2001)

Amica intervista bin Laden

Desiderio di molti, traguardo di pochi, lo stile si riconosce al primo sguardo: è individualismo, originalità, espressione del carattere. Abbiamo chiesto a un personaggio di forte personalità come intende lo stile.
AMICA: Come definiresti il tuo stile?
BIN LADEN: Un melange di vintage anticonvenzionale con il dettaglio che fa la differenza.
Che cosa non ti sorprenderemo mai a indossare?
I pantaloni pitonati. Pratico l’arte di suggerire più che quella di esibire. Comunque, mai dire mai.
Se dovessi ridurre il tuo guardaroba a due capi, quali sceglieresti?
Un abito lungo e uno corto, per potermi poi sbizzarrire con gli accessori. Ma non ci riuscirei mai: sono famoso per le mie valigie enormi.
Di chi ti piacerebbe saccheggiare il guardaroba?
Madeleine Vionnet, la sarta che inventò il taglio in sbieco.
Se potessi godere di un credito illimitato, in quale negozio andresti a fare shopping?
Ovunque ci sia Tiffany. Ma godo di un credito illimitato dappertutto.
Qual è il segno che più ti distingue?
La semplicità. E il mio kalashnikov.
Che cosa ti fa più orrore?
Le ciccione coi leggings.

L’enigmista e il comico

Il Fatto quotidiano ha pubblicato la mia mini-serie in 11 puntate dedicata ai giochi linguistici, e alla parentela fra sacro, mito, rito, comicità, giochi enigmistici e giochi di prestigio. Qui troverete le fonti citate, puntata per puntata. Buone letture!

#1

Freud, Il motto di spirito, 1905

#2

Yus, Humor and the search for relevance, 2003

#3

Bartezzaghi, Parole in gioco, 2017

#4

Bartezzaghi, Parole in gioco, 2017
Castiglione, Il libro del Cortegiano, 1528

#5

Grice, Logica e conversazione, 1975

#6

Bartezzaghi, Parole in gioco, 2017
Fo, Manuale minimo dell’attore, 1987

#7

Borges, Discussione, 1932
               Prologhi, 1975
               Il prisma e lo specchio, 1919-1929
Boyd, Nabokov’s Pale Fire: The Magic of Artistic Discovery, 1999

#8

Nash, The Language of Humor, 1985
Borges, Prologhi, 1975
Nabokov, Intervista a The Listener, 1962
Ortiz, Designing Miracles, 2006
Watson, Matthews & Allman, Brain Activation during Sight Gags and Language-Dependent Humor, 2007
Parris, Kuhn, Mizon, Benattayallah & Hodgson, Imaging the Impossible: An fMRI Study of Impossible Causal Relationships in Magic Tricks, 2009

#9

Totò, Intervista alla RSTI, 1966
Loshin, Secrets Revealed: How Magicians Protect Intellectual Property Without Law, 2008
Crasson, The Limited Protections of Intellectual Property Law for the Variety Arts: Protecting Zacchini, Houdini, and Cirque Du Soleil, 2012
Brancolini, Abracadabra! Why Copyright Protection For Magic Is Not Just An Illusion, 2013

#10

Jones, The Honor System, 2012
Stone, Fooling Houdini, 2012
Loshin, Secrets Revealed: Protecting Magicians’ Intellectual Property without Law, 2010
Bolles, Stand-Up Comedy, Joke Theft, and Copyright Law, 2011
Nimmer & Nimmer, Nimmer on Copyright, 2012
Fauchart & Von Hippel, Norms-Based Intellectual Property Systems: The Case of French Chefs, 2008
Lemley, The Law and Economics of Internet Norms, 1998

#11

Raustiala & Sprigman, The Piracy Paradox: Innovation and Intellectual Property in Fashion Design, 2006
Suls, Cognitive Processes in Humor Appreciation, 1983
Bierce, Dizionario del diavolo, 1911